di PATRIZIA FINUCCI GALLO
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Ci sono personaggi e storie che vengono alla luce quasi per magia, che appaiono come una colomba bianca sotto il fazzoletto di un bravo prestigiatore. Ed è proprio la domanda chiave a dare una risposta logica: non è che non hai visto la colomba perché non c’era. E’ sempre stata là, ma non l’hai voluta vedere. Non hai osservato bene. Non sei stato abbastanza veloce per intravederne la coda, oppure sufficientemente incantato da poterla immaginare.
Ecco, per René Paresce, uno dei protagonisti del movimento artistico degli Italiens de Paris, è andata un po’ così. C’erano Massimo Campigli, Giorgio De Chirico, Filippo De Pisis, Gino Severini, Alberto Savinio, Mario Tozzi: tutti uniti, tra gli anni Venti e Trenta, per rilanciare l’arte italiana nella capitale francese fra sperimentazioni tecniche miste a modernità ed elementi rinascimentali.
Ma a René Paresce, pittore e fisico, la storia ha regalato poco e con la colomba dell’illusionista ha condiviso la sorte, finché una bella prestigiatrice ha sollevato il velo e lo ha portato alla luce. Meglio, lo ha messo al centro di tutto, persino della sua vita. Si chiama Rachele Ferrario, storica e critica d’arte contemporanea, nel 1998 ha scoperto un nucleo di opere inedite di Paresce e di lui ha curato una serie di antologiche, ha scritto un libro per Sellerio (Lo scrittore che dipinse l’atomo. Vita di René Paresce da Palermo a Parigi) e ora a Bologna ha curato la mostra dal titolo René Paresce Italiani a Parigi.
Si tratta di 73 opere che raccontano la sfida lanciata a Parigi da Les Italiens, alcuni tra gli inventori della mitologia e dell’arte legata all’idea della mediterraneità. Al centro lui, René, con un immenso autoritratto in cima alla scala che porta alla mostra e poi il dipinto vero, illuminante appena varcata la soglia del primo piano. L’effetto è proprio una narrazione artistica di un periodo, a cavallo tra il 1928 e il 1933, di grande fervore intellettuale per i pittori italiani che avevano eletto Parigi a loro patria.
La mostra, organizzata da Genus Bononiae, resterà aperta al pubblico fino al 25 febbraio ed è stata allestita presso il Museo e l’Oratorio di Santa Maria della Vita (altro capolavoro monumentale che custodisce al suo interno il famoso Compianto sul Cristo Morto di Niccolò dell’Arca).