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Il programma di Artefiera 2018

di Patrizia Finucci Gallo

Opera in apertura Thank You di Mel Bochner, 2016

Grandi aspettative per l’apertura della 42ma edizione di Artefiera, una delle più importanti manifestazioni legate all’arte, che aprirà i battenti a Bologna dal 2 al 5 febbraio. 

La nuova direzione artistica, affidata a Lorenzo Balbi, propone per la città un progetto speciale e dieci eventi gratuiti in dieci diverse location con mostre, performance e installazioni.

A cominciare dalla prima assoluta per l’Italia di Tunguska Event, History Marches on a Table, un progetto curato dall’artista russo Vadim Zakharov, e ideato in occasione del centenario della Rivoluzione Russa.


ARTEFIERA A BOLOGNA 10 APPUNTAMENTI GRATUITI IN DIECI DIVERSE LOCATION


Torna Artefiera a Bologna

Landscape di Bruno Muzzolini 2008

Un insolito palcoscenico, che vedrà gli invitati seduti intorno a un tavolo lungo diversi metri apparecchiato in modalità pranzo, per raccontare alcuni eventi importanti accaduti nella prima metà del Novecento, tra il 1904 e il 1917, partendo proprio dall’ingresso in guerra della Russia e del Giappone.

La mostra curata dallo stesso Balbi, Ungrammatical di Katarina Zdjelar dove le opere sono in relazione all’architettura circostante, consente anche di vedere il Padiglione de L’Esprit Nouveau un gioiellino rimesso a nuovo, replica perfetta dell’edificio ideato da Le Corbusier e Pierre Jeanneret per l’Esposizione universale di Parigi del 1925.

Per quanto riguarda la mostra mercato troverete nei padiglioni 25 e 26 un totale di 182 espositori, di cui 152 gallerie e 30 operatori che lavorano nell’editoria.

E la sera di sabato 3 febbraio ci aspetta la Art City White Night, con aperture straordinarie fino a mezzanotte di gallerie, musei e luoghi di interesse culturale.

24/01/2018 0 comment
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Mostra a Bologna René Paresce

di PATRIZIA FINUCCI GALLO

patriziafinuccigallo@gmail.com

Ci sono personaggi e storie che vengono alla luce quasi per magia, che appaiono come una colomba bianca sotto il fazzoletto di un bravo prestigiatore. Ed è proprio la domanda chiave a dare una risposta logica: non è che non hai visto la colomba perché non c’era. E’ sempre stata là, ma non l’hai voluta vedere. Non hai osservato bene. Non sei stato abbastanza veloce per intravederne la coda, oppure sufficientemente incantato da poterla immaginare.

Ecco, per René Paresce, uno dei protagonisti del movimento artistico degli Italiens de Paris, è andata un po’ così. C’erano Massimo Campigli, Giorgio De Chirico, Filippo De Pisis, Gino Severini, Alberto Savinio, Mario Tozzi: tutti uniti, tra gli anni Venti e Trenta, per rilanciare l’arte italiana nella capitale francese fra sperimentazioni tecniche miste a modernità ed elementi rinascimentali.

Ma a René Paresce, pittore e fisico, la storia ha regalato poco e con la colomba dell’illusionista ha condiviso la sorte, finché una bella prestigiatrice ha sollevato il velo e lo ha portato alla luce. Meglio, lo ha messo al centro di tutto, persino della sua vita. Si chiama Rachele Ferrario, storica e critica d’arte contemporanea, nel 1998 ha scoperto un nucleo di opere inedite di Paresce e di lui ha curato una serie di antologiche, ha scritto un libro per Sellerio (Lo scrittore che dipinse l’atomo. Vita di René Paresce da Palermo a Parigi) e ora a Bologna ha curato la mostra dal titolo René Paresce Italiani a Parigi.

Si tratta di 73 opere che raccontano la sfida lanciata a Parigi da Les Italiens, alcuni tra gli inventori della mitologia e dell’arte legata all’idea della mediterraneità. Al centro lui, René, con un immenso autoritratto in cima alla scala che porta alla mostra e poi il dipinto vero, illuminante appena varcata la soglia del primo piano. L’effetto è proprio una narrazione artistica di un periodo, a cavallo tra il 1928 e il 1933, di grande fervore intellettuale per i pittori italiani che avevano eletto Parigi a loro patria.

La mostra, organizzata da Genus Bononiae, resterà aperta al pubblico fino al 25 febbraio ed è stata allestita presso il Museo e l’Oratorio di Santa Maria della Vita (altro capolavoro monumentale che custodisce al suo interno il famoso Compianto sul Cristo Morto di Niccolò dell’Arca).

11_Paresxe - La pesca miracolosa

René Paresce La pesca miracolosa, 1932 Olio su tela, cm. 72×91

10_Paresce - La partenza

René Paresce La partenza, 1932 Olio su tela, cm. 73×93 Casa-Museo Boschi Di Stefano, Milano

2_de Chirico - Meubles dans une vallée

2_de Chirico – Meubles dans une vallée

de Pisis - Il piede romano

de Pisis – Il piede romano

Savinio - Tombeau d'un roi maure

Savinio – Tombeau d’un roi maure

12_Paresce - La notte

12_Paresce – La notte

07/12/2017 0 comment
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Brueghel

Brueghel, capolavori dell’arte fiamminga

di ROBERTO DI CARO.

Certo, la puoi visitare come di solito si fa con una mostra o un museo, “Brueghel, capolavori dell’arte fiamminga” (a Bologna, palazzo Albergati, fino al 28 febbraio 2016, prodotta da Arthemisia Group): ossia un quadro appresso all’altro, un occhio a come negli anni varia lo stile e un altro al contesto, quei contemporanei che per ormai usuale propensione al didascalico dei curatori contornano le opere maggiori in esposizione.

Ma c’è un altro modo di girovagare per i due piani del palazzo, suggerito proprio dai curatori Sergio Gaddi e Andrea Wandschneider e dall’impianto stesso della mostra: quello di studiare, attraverso le opere e come in trasparenze, un marchio, un brand, un “modello di business”, diremmo oggi, di straordinario successo. Costruito con acume e mantenuto con costanti adeguamenti per 150 anni fra Cinque e Seicento. Maturato in scelte stilistiche pensate come strategie di marketing aziendale e familiare, a loro modo dinastiche. Una “factory” con rifacimenti e varianti una generazione dopo l’altra, altro che i multipli di Warhol: dal fondatore Pieter Brughel il Vecchio ai figli Pieter Brueghel il Giovane e Jan Brueghel il Vecchio e poi Jan Brueghel il Giovane, ma anche suoceri e generi come David Teniers, nipoti come Ambrosius e Jan il giovane, e pronipoti tutti Jan o Pieter o Abraham o David, ché va bene l’individualità ma ciò che vendi è la ditta, il marchio, il brand, impresa familiare allargata per cooptazione nuziale, cinque o sei generazioni: una rarità, oggi che meno di un quarto delle imprese sopravvive al primo passaggio di padre in figli.

Brueghel
Un accorto marketing che ben sa cosa vuole il mercato, cosa chiedono i committenti: ai mercanti, quei fiori allora appena giunti dal Nuovo Mondo e quasi sconosciuti ma anche incisioni di grandi navi precise nei più minuti dettagli, tuttora fonte primaria per gli storici della navigazione; alla ricca borghesia degli affari e della moneta, le bizzarre allegorie dei quattro elementi nonché di amore, guerra e pace; a un mercato in espansione anche per tasche non da re, quei paesaggi fluviali stemperati tra i boschi, il minuto realismo del quotidiano, la taverna dei giocatori, e le danze, i balli, i matrimoni, quelle sfrenate feste popolari ai limiti dell’osceno, facce beone e ricche libagioni, che chi se lo poteva permettere si metteva in casa in effigie. Perché quelli erano sì secoli di guerre ma anche di conquista degli oceani e del benessere a suon di traffici e scambi e monete d’oro. Una forza vitale che quella stessa terra, oggi Belgio, non sembra più possedere.

Brueghel

25/11/2015 1 comment
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